La mission di Human Technopole è esattamente questa: migliorare la vita studiando la vita.

«Lo scopo, alla fine, è la persona: tutto il lavoro di Mind punta a quello». Alberto Mina, Direttore delle Relazioni Istituzionali e Internazionali di Arexpo, ci tiene a ricordarlo. E ha ragione. L’enorme e complessa macchina che sta facendo nascere uno dei più grandi piani urbani integrati d’Europa, attirando investimenti, cervelli e tecnologie per generare innovazione, in fondo ha un obiettivo semplice: migliorare la nostra vita. «E lo diciamo in due sensi. Anzitutto, orientando la ricerca che verrà fatta qui: si occupa di Life Sciences e City of the Future. Poi, creando un contesto vivibile, che tenga conto di tutte le esigenze di chi verrà a lavorare e ad abitarci».

Benessere e qualità della vita. È un tratto importante del Made in Italy, riconosciuto ovunque: c’è un italian way of life che combina cultura, natura, bellezza. E cura, parola che in italiano è ricca di sfumature: va dall’attenzione alle persone (si curano i malati, ci si prende cura degli anziani o dei bambini) alla precisione nei dettagli, la meticolosità rispetto ai particolari che fanno la differenza, la cura del lavoro. L’Italia è anche questo, da sempre. E Arexpo vuole che Mind lo sia alla massima espressione.

«Anzitutto, la ricerca mira proprio a quello, al well being delle persone», osserva Igor De Biasio, Ceo di Arexpo: «Lo sviluppo è per qualcosa di positivo, ha un orientamento chiaro». Non è banale, quando si parla di esperimenti e applicazioni che riguardano la genetica, il Dna, l’essenza stessa della struttura umana.

La mission di Human Technopole è esattamente questa: migliorare la vita studiando la vita. L’approccio globale nei laboratori delle Sciences of Life spazia dalla biologia alla chimica, dall’ingegneria alla genomica, ma sempre con un obiettivo preciso: rafforzare la salute dell’uomo (con un occhio particolare al tema dell’invecchiamento) e custodire quella della natura, realizzando progetti «che rendano il mondo più sostenibile», come dice De Biasio.

Ma anche il Galeazzi va nella stessa direzione: avvicinare il più possibile la ricerca al paziente, portare l’innovazione direttamente al servizio di chi ha bisogno di cura. Non è un caso che nei laboratori del grande IRCCS, erede di una tradizione antichissima (anche gli ospedali, come le università, sono nate in Italia, nel Medioevo), si parli di «tailor made medicine», di medicina sempre più personalizzata, mirata non a solo combattere o a prevenire le malattie, ma quella forma particolare di malattia che ha quel paziente. Accade nel campo ortopedico, dove il Galeazzi è eccellenza mondiale, e nel settore cardio-vascolare, dove l’altro ramo dell’ospedale milanese, l’Istituto Clinico Sant’Ambrogio, è altrettanto all’avanguardia.

Sono gli stessi target che si cercherà di raggiungere nel campus dell’Università Statale, un’area complessiva di 160mila metri quadri (17mila destinati alle aule e 11mila ai laboratori) dove si trasferiranno i 18mila studenti di 60 corsi di studio delle materie scientifiche. Avranno a disposizione spazi, servizi e «una macro-piattaforma scientifica che permetterà l’acquisizione e la gestione della strumentazione necessaria a fare scienza nei prossimi decenni», si legge nel documento di presentazione stilato dall’Università. Ovvero, a produrre conoscenze che servono alla vita.

Ma la seconda, grande declinazione del well being secondo la concezione di Arexpo è proprio la forma che sta prendendo Mind, la sua attenzione a creare ambienti vivibili, dove si sta bene. «Un’area dove le persone vorranno fermarsi anche dopo l’orario di lavoro, dove sarà piacevole restare perché sarà un luogo verde o blu, immerso nei parchi e percorso da vie d’acqua», dice ancora De Biasio.

È un’attenzione che riguarda la dimensione fisica della progettazione di edifici e ambienti, ma anche quella sociale dell’integrazione delle funzioni, quella estetica della percezione degli spazi, quella biologica dello star bene in un contesto sostenibile. Vale per le zone residenziali, gli spazi pubblici, i luoghi di lavoro.

Un esempio è il piano terra dello stesso Galeazzi, che offrirà a medici, degenti e visitatori giardini e aree verdi. Mentre all’interno, si legge nelle linee guida del progetto, «grande attenzione è stata posta al comfort, all’umanizzazione degli spazi e all’illuminazione naturale: la maggior parte dei locali saranno aperti, permeabili alla luce, dotati di grandi vetrate e di vedute sull’esterno». Qui, scrivono gli architetti di Binini Partners, gli ambienti devono essere «in grado di comunicare valori di rispetto, di accoglienza, di condivisione, di sicurezza, di avanzamento scientifico e sociale, di efficacia nelle cure, di capacità di alleviare le sofferenze». Ma sono tratti che si ritrovano pure negli uffici di Human Technopole e nei progetti del campus universitario, oltre che, naturalmente, negli spazi comuni.

«Un’area dove le persone vorranno fermarsi anche dopo l’orario di lavoro, dove sarà piacevole restare»

L’Italia è una storia di borghi. E noi, in fondo, stiamo creando un borgo

Basta guardare al grande parco del Decumano, il viale da un chilometro e mezzo che attraversava in lunghezza l’Expo: diventerà uno dei maggiori parchi lineari urbani d’Europa, colonna vertebrale del masterplan firmato dallo Studio Carlo Ratti che prevede di dedicare al verde 460mila metri quadri complessivi. Saranno piantati tremila alberi in più rispetto a quelli esistenti, ci saranno aiuole e giardini, ma anche coltivazioni verticali, orti didattici, sky farm, spazi per fare sport e aree per l’aggregazione sociale. «Il verde dove c’era l’asfalto, per rendere l’area più viva», dicono allo Studio Ratti. Una specie di bosco in città arricchito da quattromila metri quadrati di specchi d’acqua (oltre che da quattro chilometri di piste ciclabili).

«La scommessa che stiamo facendo è portare l’innovazione su scala urbana», dice Stefano Minini, Project director di Lendlease: «Non creare semplicemente un business district, ma tenere tutti gli ingredienti di eccellenza su un modello di città, portandoci il bello e la serendipity. Hai tutte le strutture che servono per lavorare, ma anche un albergo, un asilo o semplicemente zone per fare una passeggiata e rilassarti».

L’idea che fa capire meglio questa concezione complessiva è il Common ground, applicato a tutto il Distretto: ogni edificio avrà il piano terra accessibile a tutti. Uno spazio comune continuo e aperto, completamente pedonale, che attraversa e collega le aree private e quelle pubbliche. È pensato per promuovere l’incontro e lo scambio. Serve a far nascere idee nuove, ma anche a vivere meglio.

«Di fatto, riprende una delle idee di Expo: la piazza come luogo fondamentale per una comunità vivente integrata e dinamica», dice De Biasio. Ma è anche espressione di un tratto del Made in Italy: «L’integrazione sostenibile tra dimensioni differenti è una cosa tipicamente italiana. L’Italia è una storia di borghi. E noi, in fondo, stiamo creando un borgo con una enorme capacità di connessioni». Come succedeva alle Repubbliche marinare, che avevano una rete di collegamenti mondiali, o ai Comuni del Rinascimento, capaci di legare città e contado. «Dimensioni diverse, ma con un dato al centro: l’umano». Proprio come Mind.