Erano le 17.35 del 31 ottobre di sei anni fa, quando l’ultimo dei 22,2 milioni di visitatori lasciava il sito di Expo 2015 e prendeva il via la cerimonia di chiusura dell’evento. Un successo enorme, oltre ogni previsione: 21.476.957 di biglietti venduti (più di un terzo dei quali all’estero), 137 Paesi e quattro organizzazioni internazionali presenti, oltre 420 milioni di euro di incassi solo dai ticket, un impatto sull’economia italiana che l’Università Bocconi ha stimato in circa 17 miliardi di euro. Ma nel momento stesso in cui si chiudevano i cancelli, si apriva una grande domanda: e adesso? Come dare continuità a quell’esperienza? Che futuro poteva esserci per quell’area che per 184 giorni era stata la vetrina globale del Made in Italy, il prolungamento ideale di Milano, la sua proiezione nel domani?
Ci sono voluti parecchi mesi, per decidere. Un confronto largo di idee e teorie, a volte vaghe, molto spesso interessanti. Con tanti attori in scena, perché a chi aveva investito nell’area – Governo, Regione, Comune, aziende – si aggiungevano i contributi di società civile e opinion makers.
Per trasformare le ipotesi in realtà, però, serviva un regista. Qualcuno che avesse una visione chiara, un progetto definito e – soprattutto – la capacità di coinvolgere e coordinare chi poteva esserne protagonista, di “fare sistema”.
Arexpo è questo: un catalizzatore, ovvero «un elemento che favorisce o accelera il formarsi e lo svilupparsi di tendenze e processi», come dice il vocabolario. Un soggetto in grado di attirarne altri, tanti e molto diversi tra loro, e di aiutarli a lavorare assieme. Perché offre plus che Igor De Biasio, ceo di Arexpo, riassume così: «Anzitutto, la promozione e i rapporti istituzionali. Tra i nostri soci ci sono Ministero dell’Economia, Regione Lombardia e Comune di Milano: significa garantire ai partner un accesso diretto a tutti i livelli di governo del Paese, centrale, regionale, locale». Poi, la promozione internazionale: «Vuol dire eventi, missioni all’estero e accoglienza di delegazioni da altri Paesi. Ma anche sviluppo di relazioni con hub tecnologici e science park nel mondo: abbiamo già accordi con Dubai, Kyoto, il Québec, la Svizzera». Terzo elemento, decisivo: la capacità di gestire progetti complessi come Mind, che è il caso più importante in Italia di co-investimento pubblico-privato, garantendone costi e puntualità. E riducendo al minimo i rischi.
«Il fattore di rischio più alto per i capitali si chiama tempo», osserva Alberto Mina, direttore Relazioni Isituzionali e Internazionali: «Avere certezze sul calendario della realizzazione è fondamentale. Arexpo si impegna a mantenere il rispetto dei tempi e della pianificazione concordata, già dal livello autorizzativo». Il Piano integrato di intervento, cioè lo strumento urbanistico che dipende dai Comuni di Milano e Rho e che ha consentito la realizzazione di Mind, «è stato stilato in tempi record, secondo la programmazione che avevamo fatto. E questo è un valore aggiunto enorme». Ma le garanzie offerte sono ancora più ampie: «Riguardano la trasparenza dei processi, in tutti i passaggi, e l’affidabilità degli interlocutori. La nostra dimensione ci permette di stabilire relazioni di qualità tra soggetti con una accountability istituzionale».
È per questo che una realtà come Lendlease, colosso del real estate che sta gestendo lavori come il nuovo masterplan della sede di Google nella Silicon Valley o la riqualificazione di Euston Station a Londra (oltre che quella di Santa Giulia, sempre a Milano), ha deciso di investire 2,5 miliardi di euro. «Che cosa ci ha convinto? Anzitutto la scala dimensionale e la prospettiva di una governance chiara», dice Stefano Minini, Project Director di Lendlease. «Avere un progetto grande, in un posto centrale rispetto a Milano, con una forte eredità sia immateriale che di infrastrutture, una concessione di 99 anni e un partner pubblico in grado di guidare il tutto e far rispettare i tempi, fa la differenza». Poi, la presenza di realtà come Human Technopole, Galeazzi e l’Università «a qualificare e dare peso all’operazione». In più, la possibilità di lavorare «in un luogo bellissimo come l’Italia, con talenti a costo relativamente basso (un neoingegnere nella Silicon Valley costa molto di più), attrattivo per le imprese e per le persone che vogliono venirci».
L’attractiveness del metodo Arexpo si riflette anzitutto nei contenuti, nella forma che sta prendendo il Distretto. Basta affacciarsi nei laboratori di Human Technopole, dove già adesso si sentono parlare lingue di diverse parti del mondo – i ricercatori sono un centinaio, rispetto agli oltre mille previsti a regime. O scorrere l’elenco delle grandi aziende che si sono già impegnate ad entrare in Federated Innovation, e che arrivano da Stati Uniti e Giappone, Cina e Germania. E Corea, Francia, UK, Svizzera, Finlandia…
Globale e locale. È la vocazione di Milano da sempre: essere Mediolanum, come dice il suo nome latino. Ovvero “terra di mezzo”, punto di incontro e centro di un territorio ricco e fertile che in secoli di storia ha attirato a sé popoli e culture: romani e celti, barbari e longobardi, francesi e spagnoli, fino ai 10,1 milioni di turisti all’anno (dati 2019) che arrivano da ogni Paese per visitare la metropoli regina del Made in Italy. Ma anche terra capace di trattenere il meglio di quel flusso, di distillarne l’essenza, di fondere queste diversità in un mix originale, per ricavarne continuamente qualcosa di nuovo da offrire a tutti. È il genius loci di questa città. Arexpo ne ha fatto un punto di forza.
Non è un caso che i laboratori di Human Technopole siano pensati proprio per questo: diventare un punto di riferimento per la comunità accademica internazionale che studia le Scienze della vita. Nasce per essere aperto, parte di una rete. Un luogo in cui confluiranno contributi da tutto il mondo (scienziati, idee, dati) per fare ricerche che aiuteranno a loro volta il lavoro dei colleghi di tutto il mondo. Una possibilità che attira talenti di primo piano. Iain Mattaj, direttore scientifico di Human Technopole (ed ex capo dell’European Molecular Biology Lab di Heidelberg), in un’intervista ha spiegato questa attrattiva così: «Il progetto è ambizioso, i finanziamenti stabili anche in prospettiva. Sono un ricercatore, sono ossessionato dalla ricerca. Ho avuto la chance straordinaria di costruire la mia carriera viaggiando e incontrando dei geni incredibili. Vorrei offrire questa possibilità anche ad altri colleghi».
È una visione complessiva che sta riportando in Italia parecchi dei cosiddetti “cervelli in fuga”, ricercatori bravissimi emigrati altrove e ora sulla via del ritorno: tra i primi sette scienziati nominati a capo dei centri di ricerca, cinque sono “Made in Italy”. «Conoscevo bene le qualità dei ricercatori italiani, che spesso vanno all’estero», aggiungeva Mattaj: «Human Technopole può contribuire a trattenerli nel loro Paese, è un’occasione unica di valorizzare la ricerca in salute». Altri di questi “cervelli” arriveranno – o torneranno – per lavorare in Università: lo spostamento in Mind darà nuove strutture e risorse fresche alle facoltà scientifiche della Statale.
È per questo che De Biasio parla di Mind come di «una porta d’ingresso verso l’Italia e l’Europa, già riconosciuta da imprese, mondo dell’innovazione e università straniere». Ed è sempre per questi motivi che il Distretto è stato ufficialmente candidato dal Governo italiano ad entrare tra gli EDIHs, gli European Digital Innovation Hub riconosciuti dalla Commissione europea come punti avanzati dell’innovazione nella Ue.
Questa capacità di attrazione, però, si vede anche nelle prospettive. Per Arexpo, Mind è solo l’inizio, «la prima sperimentazione di una modalità di lavoro che verrà replicata in altre aree lombarde», dice Mina. La “piattaforma di dialogo” che ne ha permesso la nascita si sta già allargando a nuovi progetti, in Italia e all’estero.
A Pavia, una quarantina di chilometri a Sud di Milano, l’accordo tra Arexpo, l’Università locale e la Regione sta facendo nascere il “Parco Gerolamo Cardano per l’Innovazione Sostenibile”: un’area di 11mila metri quadri in cui aziende private, università e istituti di ricerca lavoreranno per sperimentare materiali e soluzioni innovative al servizio dell’energia sostenibile, della green chemistry e dell’economia circolare, oltre a progetti nell’area salute (radioterapia, imaging diagnostico, studio delle minacce virali, pharmafood e tanto altro). Un Mind più piccolo, insomma, da realizzare entro il 2023 e in cui Arexpo contribuirà soprattutto a costruire le infrastrutture ad alto contenuto tecnologico e promuovere su scala internazionale il Parco. Ed è solo l’inizio, perché altre amministrazioni locali hanno chiesto ad Arexpo di coinvolgersi in progetti di rigenerazione urbana di vario tipo.
Ma è sulla scena internazionale che si vede ancora meglio quanto questo modo di lavorare attiri interesse e risorse. Mentre Mind è tra le aree candidate ad ospitare la sede del Tribunale Europeo Unificato dei Brevetti (deve lasciare Londra dopo la Brexit), Arexpo ha avviato una serie di partnership di primo livello in Europa, Asia e Stati Uniti. L’ultimo accordo in ordine di tempo è quello firmato con il Kyoto Research Park, uno dei più importanti parchi tecnologici dell’Asia (ospita oltre 500 aziende e istituzioni nel campo dell’ICT, delle biotecnologie, dell’elettronica, dei macchinari): prevede progetti comuni, scambi di ricercatori e rapporti congiunti anche con aziende private. Segue di poche settimane il Memorandum of Understanding siglato con il governo del Québec, per condividere progetti, scambiarsi talenti e best practices e coinvolgere start-up e imprese innovative in progetti comuni. In più, ci sono intese già strette con l’Università e lo Science Park di Dubai (dove si guarda con molto interesse a Mind per capire quale futuro dare all’Expo 2021), con lo Switzerland Innovation Park Ticino e con atenei prestigiosi come Berkeley (qui l’accordo prevede di favorire lo sviluppo di una dozzina di start-up grazie alla collaborazione con SkyDeck, l’acceleratore dell’università californiana). Sono i primi «tasselli una piattaforma mondiale, pezzi di un network di distretti dell’innovazione con cui vogliamo gemellarci per costruire su scala globale», dice De Biasio. Realtà attirate dal “metodo Mind”. Da Arexpo. E dal volto affidabile del Made in Italy.